Vietcong



The jungle canopy whipping by just below us was about the last thing I could remember about the camp... and you know what?... don't mean nothing, man... don't mean nothing.
L'anno era il 2003: quell'estate fece un caldo tropicale e per gli sparatutto (FPS per gli studiati) fu un anno importante. In quell'anno uscì infatti, tra gli altri,  Call of Duty, videogioco rimasto nella memoria e capostipite di una fortunata serie.
Ne parleremo - forse - un'altra volta, torniamo al caldo: forse per colpa del clima da delta del Mekong, quell'anno doveva conoscere l'ascesa di un altro videogame del genere FPS, non meno innovativo del più noto cugino: il titolo dell'opera, assai esplicito, è Vietcong. Ci si lascia alle spalle il secondo conflitto mondiale (allora non così inflazionato come oggi) per il Vietnam del 1967. Uno scenario, quello del Nam, che ad oggi è stato scarsamente preso in considerazione da pochi giochi memorabili (forse solo il molto più recente Rising Storm 2: Vietnam è degno di nota); giochi che, grazie a Vietcong, spuntarono come funghi nei due-tre anni successivi (Men of Valor, Shellshock: Nam '67, Conflict: Vietnam e altri). Sviluppato da Pterodon e Illusion Softwares e pubblicato da Gathering per PC e PS2/Xbox, il gioco ci cala nei panni del sergente Steve Hawkins dei Berretti Verdi degli USA. In compagnia della nostra squadra, dovremo esplorare la giungla del Vietnam e imbarcarci in pericolose missioni alla ricerca del nemico, dei suoi depositi di armi e cibo, dei suoi rifugi e di qualche prigioniero di guerra; oppure dovremo difendere basi e accampamenti da orde di Charlie, sempre sperando nel rombo salvatore di un Phantom che ci venga a coprire la ritirata a furia di napalm.



Il punto di forza di Vietcong è l'estrema accuratezza con cui le dinamiche di gioco riproducono il combattimento nella giungla: un fogliame fitto e lussureggiante ci costringerà a procedere con estrema cautela, per evitare agguati nemici e trappole; Charlie sarà spesso difficile da individuare a causa della vegetazione e dovremo tenerci al coperto e sfruttare il bagliore delle armi, specialmente nelle missioni notturne; non di rado dovremo addentrarci in bui cunicoli con pericoli ad ogni svolta, magari armati solo di pistola. Un'attenzione all'immersione del giocatore nell'ambiente di gioco che diventa a tratti maniacale, arrivando a toccare anche aspetti a impatto zero sull'evoluzione della partita, come la possibilità di raccogliere gli effetti personali dei nemici caduti; un livello di immersione che mancherà ancora a lungo (e spesso manca ancor oggi) da molti titoli FPS e che il seguito, Vietcong 2, non saprà replicare, raccogliendo tiepide recensioni.

Particolare nota merita la caratterizzazione dei compagni dell'A-team comandato dal giocatore, altra caratteristica rara, ai tempi. Ogni personaggio della squadra svolge infatti una funzione importante ed unica: c'è l'addetto alle comunicazione, che ci permetterà di ricevere ordini e persino di chiedere l'appoggio dell'artiglieria, l'apripista vietnamita che ci segnala le trappole e la direzione in cui si trova il nemico, il mitragliere con l'M-60 e la filosofia spicciola di un film di genere, il medico che ci potrà rattoppare. Altri titoli, anche più blasonati, ci affiancheranno una squadra solo molti anni dopo preferendo generici commilitoni da affiancare al personaggio principale.
Un gioco, Vietcong, che andrebbe riproposto e ampliato con nuove missioni, magari migliorandone la grafica dei personaggi, che lasciava un po' a desiderare.

 

Grazie a @_Fartzilla per la recinzione.

 

 

 

Commenti